Per completezza di informazione. Ecco la recensione della Tornabuoni.
Cowboy gay? Proprio. Chi conosce l’editoria omosessuale sa come questo amato emblema di virilità (spesso nudo, ma con stivali e cappello) si ritrovi dappertutto, in disegni, fotografie, fumetti, illustrazioni di romanzi erotico-rurali, calendari, cartoline; anche al cinema, sin dal 1969 John Schiesinger raccontava in Uomo da marciapiede il prostituirsi a New York del cow boy texano John Voight. Però Brokeback Mountain, il film in concorso di Ang Lee, è differente: non racconta un incontro sessuale precario ma una storia d’amore lunga vent’anni; gli amanti cow boy non sono gay ma bisessuali che sì sposano, hanno figli, divorziano e si vedono per amarsi. Molto sentimentale. Se la vicenda si svolgesse tra un uomo e una donna risulterebbe melensa, sdolcinata: tanto più che il regista cinese emigrato negli Stati Uniti ha una comprensibile predilezione per gli stereotipi americani.
I due cow boy protagonisti si conoscono nel 1963 sul lavoro: da soli, portano al pascolo sulla montagna di Brokeback nel Wyoming uno sterminato gregge di pecore; il freddo e la solitudine favoriscono l’intimità, l’amore carnale che li spaventa («Questa storia finisce qui. Io non sono frocio»). Finito il lavoro, si separano: «Ci vediamo». Non si vedono per quattro anni: poi si ritrovano sposati e padri, sempre innamorati, e da allora ogni tanto si danno appuntamento sulla Brokeback Mountain. Uno vorrebbe una vita in comune, l’altro non se la sente; uno cerca nuovi incontri gay, l’altro no; uno muore in un incidente stradale, l’altro consuma una morte civile di povertà e isolamento.
Il film tratto dal racconto di Annie Proulx pubblicato col titolo Gente del Wyoming da Baldini Castoldi Dalai, sostenuto dalla associazione dei cow boy gay canadesi, è interpretato da Heath Ledger e Jake Gyllenhaal che recitano molto bene l’euforico entusiasmo dei vent’anni come la frustrazione dei quaranta. Le scene di sesso, nell’angustia oscura di una piccola tenda, sono quasi invisibili; l’amore si esprime assai meglio con i baci, i corpo a corpo di lotte scherzose, la nudità dei bagni a fiume, la felicità fisica. Per i due amanti, incontrarsi non è soltanto un’occasione amorosa: è pure un modo di fare per qualche giorno una «vita da uomini» nella libertà della Natura. Gli alberi, il fiume, le montagne, il cielo rosso al tramonto e grigio all’alba, cervi, orsi bruni, fuochi di bivacco, scatole di fagioli, canzoni suonate sull’armonica a -bocca, sono pure una stupenda fuga dalle piccole vite con mogli che protestano e bambini che piangono tra quattro mura.
Ang Lee e il suo direttore di fotografia Rodrigo Prieto rinnovano la tradizione del western nella bellezza del paesaggio, nei grandi cieli aperti disseminati di nuvole candide, nella neve sulle alte cime, nelle montagne incantate.
24 anni dopo Querelle de Brest di Fassbìnder, 35 anni dopo Domenica, maledetta domenica di Schlesinger, la storia d’amore tra due cowboy (Heath Ledger, Jake Gyllenharl) sembra talmente ardita da farle forse vincere l’Oscar. L’amore tra i cowboy, sposati e padri, dura più di vent’anni, quasi una vita; si realizza sullo sfondo di magnifici paesaggi del Wyoming che dovrebbero accentuarne la naturalezza: è purtroppo molto sdolcinato e sentimentale: una caratteristica di altri film del regista, certo non Hulk però Il banchetto di nozze o Tempesta di ghiaccio. L’amore che stavolta racconta è secondo lui «l’illusione per eccellenza ma anche la ragione di vita per definizione: il sogno di un’unione totale e onesta con un’altra persona».[/b]
Su quell'ardito (come molti hanno definito il film) sono d'accordo con la Tornabuoni. Ardito probabilmente per un film di Grande Studio, ma il cinema indipendente e d'autore ci ha abituati da anni (da Fassbinder e Araki, da Haynes allo stesso Almodovar...) a opere ben più estreme (e non sto parlando qui di qualità artistica, ma di scelte contenutistiche e visuali)