Vincitori e vinti. Quando ci si mette in gioco si può vincere, ma si può anche perdere; si può avvincere, affascinare e legare a sé, ma si può anche restare avvinti, affascinati e legati a/da ciò che ci circonda e che fa parte, come noi, di quel tessuto dell’esistenza “contesto” in un chiasmo indivisibile, in un intrico impossibile da sciogliere e nel quale palpitano forme sensibili e ricordi individuali; proprio come le tante immagini di questo Mondiale (di questo speciale…), legate tra loro alla maniera di in un racconto analogico in cui è difficile distinguere gli “stati” perché ogni momento trapassa nell’altro con una continuità ininterrotta.
Ci sono cose che denudano e che teniamo a distanza più che per paura di esporci alla vita, per quella sensazione di immobilità che riuscirebbero a comunicarci; qualche volta sentirsi degli spettatori disincantati ci fa pensare di riuscire a cogliere, meglio degli altri, l’inesauribile e instabile movimento della vita; di poter catturare con lo sguardo l’offerta senza fine di quel flusso di “virtuali” occasioni, di sorprese percettive che essa stessa ci offre. Come si può partecipare ad un naufragio restando a guardare dalla riva? Non basta fissare lo sguardo. Non può bastare. Bisogna rivolgerlo “dentro” le cose, non per andare a fondo, eludendo la superficie, ma per abbandonarsi al viluppo dei flutti, senza lasciarsi travolgere dall’onda della vita altrui. Soltanto accettando l’esilio si può avvertire la distanza che ci separa dalle cose, scoprirsi “estranei”, liberarsi alla vita, rimettersi alla ricerca di una (altra) immagine “verginale” grazie alla quale ritornare a vedere il mondo. Soltanto rendendo attiva l’attesa si può evitare di essere assorbiti dall’ossessiva malinconia del tempo subìto e non vissuto. Forse ciò che qui si tenta di esprimere può apparire come un caos “romantico” con cui si cerca (invano…) di contenere i pensieri nella/con la linearità (?) della scrittura, o meglio con piccoli balzi di letteratura, che sono poco più che l’illusione di una danza con cui seguire il senso (già) assente del proprio sentire; forse il sovrapporsi della vita vissuta ad un’immagine vista può apparire un “tradimento” individuale, solitario e sterile, tuttavia ciò “che esiste e esisteva senza di me può continuare senza di me ed io senza di lui” (Serge Daney). Allora l’immagine di Thierry Henry che esulta e quella di Ronaldo ripiegato su se stesso appartengono entrambe allo stesso mondo e appunto per questo “ciascuno attinge all’altro, prende o sopravanza sull’altro, si incrocia con l’altro, è in chiasma con l’altro”, proprio come l’esistenza in compresenza con il mondo di un’immagine che mette ancora una volta in gioco la nostra vita
(Sentieri Selvaggi)