Un capolavoro", scrive 'Arthur Koestler di questo romanzo breve, che raccoglie altri giudizi entusiastici di eminenti critici ed è il tascabile più venduto in Francia nel 1985. Misteri del gusto e dell'editoria contemporanei: perché il libretto è proprio brutto. Il tema è quello dolentissimo del diffondersi della mentalità razzista nella Germania tra Weimar e il Reich, patita in prima persona dall'io narrante, un ragazzo ebreo che è legato da una profonda amicizia a un rampollo dell'alta aristocrazia, suo compagno di scuola. L'amicizia è bella e felice finché non intervengono a comprometterla i pregiudizi della Germania ariana, e l'immancabile conversione del giovane aristocratico al nazismo. La tragedia universale coinvolgerà diversamente i due amici di un tempo: all'ebreo porta un esilio e un vuoto che anche il successo mondano non riuscirà a colmare; all'ariano una tomba, per essersi alla fine ribellato a quel leader e padrone un tempo tanto ammirato. L'amico viene dunque "ritrovato", ma come vuole questa tragica storia di separazione, non più in carne ed ossa, ma come un nome e un cognome, su un elenco di scomparsi in guerra.
La narrazione è fatta con l'economia di chi vorrebbe lasciar parlare i fatti, gli incidenti inattesi e crudeli, le piccole-grandi crisi che contribuiscono a spingere un adolescente ai margini degli affetti delle sicurezze, delle gioie dei suoi simili. L'intento è certo lodevole, purché quel mondo così ricco e profondo che viene intuito e subito inghiottito dalla storia riesca poi in qualche modo a riemergere, a farsi vivere davvero come una perdita, un'occasione di nostalgia (come accadeva con "Il giardino dei Finzi Contini"). Ma niente di tutto questo: qui ci sono fatti troppo meschini per raggiungere un pathos reale; c'è un senso dell'adolescenza che vorrebbe essere magico e invece rimane del tutto convenzionale - ci sono felicità e incanti malamente traditi dal semplicismo e dalla prevedibilità delle espressioni. E c'è un necessario senso della giustizia - ma di una giustizia acerba e quasi cieca, che fa dire di un compagno di scuola, un ragazzo di 16 anni, nazista in erba: "Se c'era qualcuno (e sottolineo se) che meritava di morire, questo era lui" (p. 91). Com'è vero che con il senso di giustizia non si fanno dei bei romanzi. Se questi sono i grandi successi di oggi speriamo almeno che sia per le giuste ragioni civili, e non per le sbagliate ragioni letterarie.